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Valutazione alla primaria: “Non me la metti la faccina coi cuori, maestra?”

Nuovo giro, nuovo giostra: il sistema di valutazione cambia ancora alla primaria. Viva.

Periodo davvero eccellente, questo, per concentrarsi sulla pagella. Visto che siamo con le mani in mano, in mezzo alla corrente gelida che non entra solo dalla finestra aperta per necessità. Un’autentica priorità. La pagella.

Trofeo amato in genere più dai genitori che dai bambini. Credo sia già la seconda o terza volta da quando insegno: sono entrata al tempo dei giudizi, siamo tornati ai voti, nel 2008 con la Gelmini (sento ancora un brivido nella schiena quando la vedo in tv, tipo nitrito di Frankenstein jr.). Ora giudizi di nuovo…

Corsi e ricorsi, corredati da sapienti papiri a sostegno degli uni e degli altri. Vedremo, fino alla pensione. Tanto per me tutto fa brodo. Non m’importa. Non me ne curo troppo. Nel senso che no, proprio non ce la faccio a vedere i bambini come vasetti vuoti da riempire per metterci il tappo alla fine, con tanto di etichetta.

Sai che soddisfazione. Misurarli col metro scientifico. Usare ordinate e ascisse, come nel famigerato manuale Pritcher dell’Attimo Fuggente, in cui si pretendeva di poter misurare addirittura la poesia. Di fare di un attore un militare. Certo non mi sento il professor Keating, Capitano mio capitano.

Valutazione alla primaria attimo fuggente
spezzone dal film “L’Attimo Fuggente

Sì, magari. Somiglio molto più realisticamente al Silvio Orlando, ne “La Scuola“, in un approccio poco felice a queste carte che prima o poi si dovranno fare, ma a denti stretti, col malesangue. Sono di quelli che vedono ogni alunno come un figlio quando ti porta il suo sudato capolavoro fatto di matita e pennarelli e te lo offre.

Valutazione alla primaria la scuola
spezzone dal film “La Scuola

Che gli metti un voto? Lo pensi come una promessa non ancora mantenuta, una scoperta che prima o poi si farà, un seme di cui forse altri vedranno i frutti, ma va bene così. Sai perfettamente che il vero sforzo è fargli tirar fuori cos’ha da dire, nel suo linguaggio unico e speciale. E fargli capire che ognuno di noi è davvero bravo in qualcosa, anche se è difficile ammetterlo. Non solo davanti agli altri, soprattutto con se stessi.

E poi decidere di farlo comunque, anche se ci sarà sempre chi non è d’accordo. Quindi accettare che non si deve per forza piacere a tutti e va bene così. L’importante è sapere anzitutto chi siamo e magari il resto seguirà, come in un puzzle che, un pezzo alla volta, finisce per andare a posto.

Dovremmo solo formare, alla scuola primaria, accendere l’entusiasmo, non fare i giudici di linea. Intanto i miei alunni di quinta, infischiandosene bellamente del bravo, bravissimo, dieci più, pretendono: “Non me la metti oggi la faccina coi cuori, sul quaderno, maestra?

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