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Non maledite le Prove Invalsi, neanche quest’anno

Prove invalsi, ogni anno in questo periodo si riaccende il dibattito e gli inviti al boicottaggio. Io sono sempre stata favorevole e qui cercherò di dare qualche spunto di riflessione.

Intanto ogni processo, in qualsiasi ambito, deve essere valutato, sia per poter valutare i risultati sia per poter fare dei correttivi al processo stesso. Come valutare il processo di apprendimento degli studenti e quindi il livello di istruzione della nostra popolazione nei vari momenti del percorso scolastico e in uscita?

Sicuramente delle prove nazionali sono un buon strumento. Valutare il processo di insegnamento, essendo questo libero per Costituzione, è molto complesso e, oserei dire, anche opinabile. Qual è il metodo più efficace? Non c’è una risposta univoca. L’insegnamento è una variabile, oserei dire, dipendente: dipende dalle caratteristiche personali del docente, oltre che dalla sua formazione, dipende dalla tipologia di studenti che si hanno di fronte, intesa come provenienza, età, tipo di scuola.

Quello che funziona con alcune classi con altre non funziona affatto. La valutazione dell’insegnamento quindi non può essere misurata sull’apprendimento degli studenti. In altri stati, come in Francia, questa valutazione esiste, ma è un processo molto lungo di osservazione e di analisi e comunque non si basa sui risultati ottenuti dagli studenti.

In tutti gli stati europei esiste invece una valutazione nazionale degli apprendimenti degli studenti ai vari livelli del curriculum scolastico. Gli standard quindi, a cui anche i test Invalsi fanno riferimento, sono definiti a livello europeo. Non sono definite le quantità di conoscenze in possesso degli studenti, ma le competenze ritenute minime per il cittadino europeo, ovvero le capacità logico-matematiche, le competenze di lettura e comprensione di testi vari, le capacità di scrittura e le competenze minime di comunicazione in inglese. Accettare quindi la valutazione di queste competenze significa condividere il livello minimo di formazione che un cittadino europeo deve necessariamente avere al termine degli studi.

A livello nazionale le prove Invalsi danno una fotografia delle competenze facendo emergere differenze ed omogeneità. Le stesse emergono nelle scuole superiori tra le differenti tipologie di corsi di studio. In questo ambito una delle maggiori critiche che ho sentito negli anni, è che non si possono dare le stesse prove dei licei ai professionali e viceversa.

Ritengo invece che prove uniche per tutti le tipologie di scuole superiori siano coerenti con lo scopo: valutare la discrepanza tra tipologie scuole superiori e valutare il punto della scala in cui si collocano tutti gli istituti superiori.

Altra analisi possibile è la valutazione del livello all’interno della stessa tipologia di scuole. I risultati del proprio istituto sono poi visionabili dagli stessi persino nel dettaglio di classe. Questo può essere estremamente importante per cercare di rendere più omogenea l’offerta formativa della scuola per esempio modificando l’attribuzione delle cattedre ai docenti.Molte sono quindi le possibilità di analisi che le prove permettono.

IL PUNTO DEBOLE DELLE PROVE INVALSI

Il punto debole di tutto il sistema quindi non sta nelle prove ma dell’uso assolutamente insufficiente che ne se ne fa a livello nazionale, locale e di istituto. È su questo che i docenti, i dirigenti scolastici e degli Usr dovrebbero insistere. Far sì che la la struttura ministeriale e locale legga, analizzi i risultati e proponga politiche scolastiche per appianare le differenze, per potenziare con risorse dove necessario, per ridefinire periodicamente gli apprendimenti delle discipline nella scuola primaria e secondaria.

Un altro problema correlato, ma non da trascurare, è la scarsa propensione della scuola, almeno la superiore per come la conosco io, a perseguire obiettivi trasversali di competenza al posto delle tradizionali conoscenze. Anche in questo caso servirebbe un cambio di indirizzo da parte del ministero cambiando radicalmente l’esame di stato finale (maturità) con prove non tanto di conoscenza specifica quanto di competenza specifica è trasversale in modo che tutti i docenti lavorino nel corso di studio per il conseguimento dell’obiettivo. Modificando il punto di arrivo tutto il processo necessariamente si modifica.

Forse è proprio questa parte che manca a tutti i livelli che rende le prove antipatiche. Iniziare a considerare i risultati all’interno del proprio istituto può essere il primo passo per una scuola più giusta per tutti.

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